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Bellanova: "i giovani restino in Abruzzo"

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intervista esclusiva con il quotidiano "il Centro", di Domenico Ranieri, 5 novembre 2019

Il piglio è quello dell'indomabile, della battagliera che non molla di un millimetro quando si tratta dei diritti delle persone. Per una pugliese come Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole nel governo Conte II, poi, l'Abruzzo è quasi casa.

«È una comunità che non mi ha visto assente in ogni mia funzione e anche come semplice cittadina», osserva la diretta interessata. Accompagnata dall'onorevole Camillo D'Alessandro, portavoce regionale di Italia Viva, il movimento fondato da Matteo Renzi, la Bellanova ieri è stata in redazione, ricevuta dal direttore del Centro, Piero Anchino.

Ministro, che idea ha di questa regione che nel 2009 ha vissuto il terremoto e da allora convive con una situazione di grosso disagio?
«Quella abruzzese è una comunità che ha anche una grande forza. Io l'altro sabato sono stata a un'iniziativa organizzata a Roma dal settore agricolo delle regioni colpite da terremoto. Ebbene, ho trovato tanti imprenditori e tanti ragazzi, anche abruzzesi, che mi dicevano: "Non vogliamo andare via, aiutateci a rimanere". Hanno portato i loro prodotti, li hanno esposti li. Si vedeva che erano persone con un legame forte con il territorio, che avvertono il richiamo delle radici. Penso che questa comunità abbia bisogno di una politica autorevole. Se la politica si ferma a fotografare non è utile. Deve avere il coraggio di rischiare, se asseconda è la fine delle persone che hanno coraggio, perché si deprimono e vanno via».

In Abruzzo molti agricoltori si lamentano perché la Regione è lenta: i rimborsi, i soldi arrivano a fatica. In più, il rischio è che si debbano restituire all'Europa i fondi per l'agricoltura. Il cosiddetto disimpegno. Si possono snellire le istruttorie di Agea e Regione attraverso uno sportello dei finanziamenti con autocertificazione e controllo successivo? Sono 3-4mila le richieste incagliate. Come si può rimediare a questo?
«Io su questo ho chiesto al direttore Pagliardini e all'Agea di accelerare i tempi di finanziamento, ho chiesto di fare tutte le verifiche perché insieme dobbiamo valutare, laddove si crea un intoppo, qual è la soluzione migliore. Questo lavoro si sta facendo e mi aspetto che nel giro di pochi giorni mi venga presentata una relazione. Mi piace ragionare su dati concreti e su percorsi istruiti da persone che da tempo lavorano su questo. Sull'Abruzzo c'è una situazione di risorse, credo intorno ai 24 milioni di euro: come ho detto all'assessore regionale all'agricoltura, penso che siamo nella condizione di dare, con un colpo di reni, un messaggio positivo senza dover restituire fondi. Possiamo rafforzare anche qui la battaglia che stiamo facendo. Il 18 sarò al consiglio d'Europa e ancora una volta andrò a dire che non ci devono essere tagli al bilancio europeo e che la Pac (Politica agricola comune, ndr) deve essere risarcita di quelle risorse che erano state tagliate. Andare in Europa a fare questa battaglia e poi dire che rischiamo di mandare indietro i finanziamenti degli anni precedenti non è proprio un biglietto da visita ideale».

Cosa si può fare allora?
«Dobbiamo attivare tutti gli uffici del ministero che sono stati messi a disposizione delle regioni, a partire da quelle più in difficoltà, per cercare di dare un'accelerata e presentarci in Europa con le carte in regola anche da questo punto di vista. Dobbiamo migliorare la comunicare tra uffici e tra politici. E poi dobbiamo insistere molto sulla digitalizzazione, perché la comunicazione tra Agea, Inps, altri uffici regionali e del Ministero io la voglio condurre in porto: i produttori devono poter produrre merci di qualità, non documenti, e noi rischiamo di avere dei passaggi inutili perché lo stesso documento viene richiesto da più enti. Non si può».

Come si fa a convincere i giovani abruzzesi che l'agricoltura può essere il loro futuro?
«Le do una notizia. Adesso sosteniamo una capacità di investimento per l'Abruzzo di 120 milioni di euro: 38 milioni a fondo perduto e 41 milioni di aiuto al credito da parte di Cassa depositi e prestiti, che insieme dovranno generare 120 milioni di investimento da parte del sistema produttivo. Insieme a questo, dobbiamo fare un'operazione per far conoscere ai giovani tutte le opportunità di questo settore. In Abruzzo il settore vitivinicolo merita grande rispetto, perché è un tratto identitario del territorio, con la bellezza della nostra vite. È un settore che sta dando grandissimi risultati. Il 50% del vino prodotto in Italia viene esportato. Questa regione scrive pagine di poesia attraverso le bottiglie che vengono collocate sui mercati internazionali».

E allora i giovani?
«Ai giovani dobbiamo far conoscere questa realtà, mentre loro alla politica devono chiedere non investimenti a pioggia, ma di essere sostenuti per far arrivare le produzioni di qualità su quei mercati dove ci si può permettere il costo del Made in Italy: perché produrre in Italia costa di più. Il costo del lavoro dell'Italia non sarà mai quello della Tunisia, del Marocco, di altri Paesi nostri competitori».

Noi abbiamo il Made in Italy, ma non pensa che sia il caso di parlare tutti la stessa lingua, investire, valorizzare le nostre produzioni?
«Dico no alla dispersione di enti che si muovono autonomamente, come alcune Camere di commercio che giocano in solitaria. Ai giovani dico: noi attrezziamo una campagna di comunicazione e valorizzazione dei nostri prodotti. In questa legge di bilancio stiamo inserendo il sostegno al Made in Italy per l'agroalimentare e anche l'ammortamento, perché l'agricoltura non deve essere identificata con i vecchi trattori o con il ritorno alla zappa».

Quali le nuove strategie di politica agricola?
«Una parola: innovazione. Oggi con l'agricoltura di precisione che utilizza i droni per controllare, si ottengono risultati eccellenti. Dove serviva un litro d'acqua, oggi ne basta un goccio. Si può risparmiare, avere rispetto per l'ambiente e rispondere in maniera positiva alla crisi climatica. Dobbiamo lavorare su innovazione e ricerca, sull'agricoltura di precisione e sul sostegno alle nostre produzioni sui mercati internazionali».

E rispetto agli ostacoli dei dazi di Trump?
«A Trump io non rispondo con dazi contro i dazi. Gli lancio una sfida: stai facendo pagare un prezzo troppo alto alle nostre imprese che non hanno alcuna responsabilità. Voglio dire agli americani che i dazi li privano di prodotti che sono nella dieta mediterranea e rappresentano l'eccellenza nel gusto. Non solo: sulla longevità siamo secondi al mondo solo dopo il Giappone. E alle associazioni di produttori: la battaglia dobbiamo farla insieme, senza colori politici. Nel settore c'è chi investe e chi vuole investire. Se soltanto un imprenditore su cinque ha meno di 40 anni noi abbiamo un problema grave e allora dobbiamo parlare ai giovani. Ma li facciamo entrare in questo settore solo se innoviamo».

Ministro, a poche settimane dal varo di Italia Viva, come giudica la presa sull'elettorato? Su Instagram avete pubblicato un sondaggio sulle differenze del consenso nell'ultimo mese e siete in testa con un +6%.
«Trovo in giro molta attenzione: c'è un gran bisogno di politica e sono convinta dell'operazione che abbiamo fatto, perché in questo paese la politica ha bisogno di recuperare autorevolezza. Non assecondando quel che la piazza vuole sentirsi dire, ma andando su terreni che magari nell'immediato non portano applausi. Bisogna spiegare quel che vuoi fare, come risolvi i problemi dell'oggi; e poi devi dare un quadro di prospettiva. Negli ultimi anni la politica si è molto consegnata, si è resa subalterna e invece questa operazione che abbiamo messo in campo io la chiamo una start up della politica. Questa start up vuole dire in modo chiaro, con una pratica riformista, quali sono i problemi, come si possono risolvere e come si può immaginare il futuro. Se la politica non fa questo, è pratica da politicanti che allontana le persone, soprattutto i ragazzi e le ragazze. La mancanza di coinvolgimento delle nuove generazioni e delle donne nella politica è un problema per la qualità della democrazia».