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Bellanova: "L'emendamento? Errore da sanare"

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Bellanova: "L'emendamento? Errore da sanare",
intervista di F. G. Gioffredi, Nuovo Quotidiano di Puglia, 26 ottobre 2019

Teresa Bellanova, ministro dell'Agricoltura, renziana e già vice al Mise: come mai avete deciso di votare l'emendamento che cancella le tutele penali per Mittal? La vostra posizione era ben diversa: vi siete accodati al M5s?
«Assolutamente no. Quella modifica è un errore che va assolutamente sanato. L'ho già detto sia al presidente Conte che al Ministro Patuanelli. Per quanto mi riguarda sto a quanto Patuanelli ha affermato in Senato: che non si danno politiche industriali degne di nota in questo Paese a prescindere dalla produzione interna di acciaio e che su Ilva si deve trovare un punto di equilibrio. L'ha detto anche il ministro Provenzano, il che mi fa immaginare che anche il Pd sia sulla stessa lunghezza d'onda. Per me e per Italia Viva l'equilibrio non può prescindere dal rilancio di Ilva e dall'ambientalizzazione di Taranto, dall'attuazione del Piano ambientale e del Piano industriale come nell'accordo sottoscritto nel settembre 2018, e dall'impedire che Taranto divenga il più grande cimitero industriale europeo».

C'è stato tuttavia un passo indietro rispetto agli accordi presi con l'azienda. Un brutto segnale agli investitori. E un sintomo, anche, di una politica industriale poco chiara?
«È evidente che è un passo indietro. Ma soprattutto è un errore che va corretto. Se la dialettica parlamentare ha una sua vita autonoma, soprattutto quando è tutta interna alla forza politica che oggi rappresenta il maggiore partito di coalizione, chi governa ha il compito della sintesi. Non voglio sapere perché è stato alterato il testo di un Decreto la cui bontà il M5s e Di Maio hanno rivendicato. Mi auguro solo che non siano piccole beghe e ripicche personali a mettere in discussione migliaia di posti di lavoro, ambiente e salute. Quanto agli investitori: se un Paese riscrive all'infinito le regole e i patti, smentendo continuamente se stesso, rischia di non essere considerato credibile da nessuno. Non si può rischiare di essere uno zimbello alla mercé di chiunque. Invece di attrarre investimenti, rischiamo di metterli in fuga».

Adesso quali possono essere le possibili soluzioni? Un'ulteriore norma ad hoc? L'ingresso di nuovi partner? Accelerare sulla decarbonizzazione?
«Mi aspetto un chiarimento da Conte e Patuanelli. Sull'ingresso di nuovi partner l'ultima parola spetta all'investitore. A meno che Patuanelli non rimetta in piedi un tavolo di interlocuzione rigorosa, e concreta, con un obiettivo altrettanto concreto: non perdere un minuto di tempo. Il punto oggi è l'impegno sulla realizzazione del Piano ambientale e di quello industriale con un ruolo del governo di garante e di vigilanza. L'ambientalizzazione e la messa in sicurezza dell'azienda sono la priorità. Dopo si può iniziare a parlare del resto. Altrimenti è solo un modo per alzare polveroni».

La fuga di Mittal può mettere a rischio tutto: produzione, posti di lavoro e pure interventi di ambientalizzazione. Questi ultimi come possono essere incentivati ulteriormente?
«Sono una priorità. Ecco perché invece di modificare il decreto sarebbe stata più utile una azione parlamentare tesa a rafforzare con nuove risorse tutta la partita dell'ambientalizzazione. Il futuro di Taranto non può essere monocultura dell'acciaio. Per questo fin dal governo Renzi abbiamo puntato sulla diversificazione produttiva sostenendo il Contratto istituzionale di sviluppo, la rigenerazione della Città vecchia, gli investimenti in cultura, porto, Area di crisi complessa. Sono queste le direttrici su cui impegnarsi. Un programma di lavoro che va assolutamente perseguito e completato e che ha bisogno di ulteriori risorse per consentire l'emergere e il rafforzarsi di nuove vocazioni produttive. Dico al Governo e ai nostri alleati: avere cura di Taranto significa questo».

Ma non le viene il sospetto che Mittal in fondo stia cercando un pretesto per andare via?
«Non voglio neanche prenderlo in considerazione e non mi esercito in dietrologie. Mittal è un player globale. Ha tutto l'interesse a rafforzare la sua posizione e sa bene quanto sia strategica l'Italia. Sono stata inchiodata a 32 Tavoli di trattativa e non ho mai avuto l'impressione di uno che cerca pretesti. Se l'ex Ilva chiude, Mittal non perde: si rafforzerebbe altrove con un competitor, il più rilevante, in meno. Ad ogni modo il problema oggi non è Mittal, che bisogna mettere alla prova esigendo pieno rispetto dell'accordo e del Piano ambientale e industriale. Questo può farlo solo un Paese che sa farsi rispettare, perché è autorevole, mantiene i patti, esige e garantisce rigore e serietà».