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Arianna Furi: "A scuola più diritto ed economia"

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Riprendiamo qui un intervento di Arianna Furi, fondatrice dei Millennials, inizialmente pubblicato da Huffington Post

Lunedì 28 ottobre ho partecipato a un evento pubblico organizzato dalla neonata Consulta giovanile di Castelnuovo di Garfagnana, provincia di Lucca. Tema: il ruolo dei giovani nella società. Abbiamo parlato di quali siano le varie forme di impegno che un ragazzo può portare avanti nel nostro Paese e di come vada ripensato oggi il ruolo della scuola.

Ma prima un passo indietro: cos’è una consulta degli studenti? È un organismo istituzionale di rappresentanza delle scuole secondarie che costituisce di fatto il luogo più alto di rappresentanza in Italia per gli studenti delle scuole superiori. Qui infatti gli studenti di uno stesso territorio hanno la possibilità di confrontarsi tra di loro, parlare dei problemi che affrontano ogni giorno nella vita scolastica e delle opportunità che vogliono sfruttare per costruire il proprio futuro. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto con gli studenti di Garfagnana.

Il dibattito si è focalizzato su come immaginiamo la scuola del futuro (anche se vista la situazione dovremmo parlare di come cambiarla nel presente) e di quale debba essere il suo ruolo per la formazione, e non solo l’istruzione, di noi ragazzi. Ci siamo chiesti: ha ancora senso nel 2019 una scuola che ti insegna tutto quello che c’è da sapere sulla vita di Giacomo Leopardi, ma che allo stesso tempo non ti prepara a essere un cittadino consapevole?

Premessa per i prevenuti: la vita di Giacomo Leopardi è importante. Ma basta quella? Ad oggi tutto ciò che non riguarda l’istruzione in senso stretto è demandato alla responsabilità delle singole famiglie. Io sono stata fortunata. Fin dall’età di cinque anni i miei genitori mi hanno portato a visitare musei, parchi archeologi, mi hanno fatta viaggiare in Paesi lontani con culture distanti dalla nostra. Mi hanno fatto innamorare dell’arte osservandola, della storia comprendendola. Mi hanno insegnato a leggere un giornale, a informarmi. Ma per tutti è così? Non possiamo pensare che la preparazione politico-sociale di un ragazzo che a 18 anni ottiene il diritto di voto debba essere completa responsabilità dei genitori.

A scuola insegniamo storia dell’arte perché crediamo che siano nozioni che un ragazzo debba sapere a prescindere dal fatto che vada o meno a visitare una mostra. Gli diamo gli strumenti sperando che se un giorno sceglierà di andarci, possa emozionarsi davanti a una data opera d’arte. Dall’altro lato, già durante il periodo scolastico chiediamo a quello stesso ragazzo di decidere della vita politica del nostro Paese, senza avergli dato in mano alcuno strumento per farlo in maniera consapevole. Non consideriamo insomma materie come il diritto al pari di storia, filosofia o italiano. Lasciamo che siano i singoli ragazzi a informarsi. E questo è sbagliato. La scuola è il luogo dove i ragazzi trascorrono la maggior parte delle ore delle loro giornate, ma che di fatto li estranea totalmente da quella che poi è la società vera. In questo modo, nella migliore delle ipotesi, rischiamo di trovarci una generazione di intellettuali impreparati ad affrontare la vita.

Per questo sono convinta che dobbiamo smetterla di considerare tematiche e materie come la cittadinanza, la Costituzione, la storia delle nostre istituzioni “inferiori” rispetto ad altre materie che già vengono studiate nelle nostre scuole secondarie. Non possiamo permetterci di avere ragazzi che – per fare un esempio recente – senza conoscere il funzionamento del nostro Parlamento e cosa sia il bicameralismo perfetto si ritrovano a dover votare un referendum costituzionale. C’è un problema evidente che non possiamo più tralasciare. Dobbiamo avere il coraggio di ripensare la scuola. Di trovare una sintesi tra il continuare a insegnare le materie che caratterizzano la nostra storia culturale come il greco, il latino, la storia e la filosofia, e allo stesso tempo trovare lo spazio per insegnare fin da piccoli le basi del diritto e dell’economia.

Non possiamo pensare di essere un Paese davvero competitivo nel mondo se prima non rendiamo competitivi i nostri giovani. Pensiamo a questo quando si addossa alla nostra generazione la colpa di essere disinteressati, apatici e nullafacenti. In realtà stiamo solo assistendo agli effetti di una società e di un sistema rimasti troppo indietro rispetto al presente. E che abbiamo il dovere di iniziare a cambiare.