Italia Viva Matteo Renzi

Ancora un altro partito?

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Non so se i tempi siano quelli giusti. Non so nemmeno se la mossa sia quella giusta. Non so se si tratti di puro tatticismo politico, di partito personale, di formazione destinata all’irrilevanza, ecc.

Tuttavia, credo che il punto di partenza, per cercare di comprendere meglio quanto stia accadendo, è un articolo dell’economista Luigi Marattin, apparso sul Foglio il 9 gennaio 2019.

Più volte, si è recitata una massima: quando una persona non si definisce né di destra, né di sinistra, allora è di destra. Fino ad oggi, questo è stato essenzialmente vero.

Eppure, le categorie politiche, negli ultimi 30 anni, sono radicalmente cambiate: oggi, le linee di demarcazione sono tra coloro che credono nell’economia globale, aprendosi, e coloro che tentano di proteggersi; tra le città globali, ed i piccoli centri rurali, come più volte Stefano Boeri ha fatto notare, e come le elezioni di molte nazioni, tra cui Stati Uniti e Brasile, hanno evidenziato. L’epopea dei gilet jaunes ne è l’esempio più drammatico.

 

Nel nostro vecchio continente, il dualismo tra sovranisti ed europeisti si è radicalmente sovrapposto alle vecchie categorie politiche, creando delle situazioni di ambiguità, come, ad esempio, l’atteggiamento di Jeremy Corbyn nei confronti della Brexit.

Ecco perché, restando sull’esempio inglese, hanno preso corpo delle formazioni politiche trasversali – i liberaldemocratici, nello specifico – che non sono ancorate alle categorie otto-novecentesche, ma credono fortemente nell’Europa, nella mobilità delle persone e delle cose, ma anche nei diritti.

Credo che il senso di Italia Viva – il nuovo partito di Matteo Renzi – sia proprio questo: costituire una nuova formazione politica che non metta in contrapposizione i diritti con un mondo che cambia e che corre sempre più velocemente.

Sorge spontanea una domanda, ai più: c’era proprio bisogno di un nuovo partito?

Beh, probabilmente sì. Posso dare un’interpretazione basandomi sulla mia esperienza personale all’interno di un circolo di zona del PD. Si tratta di una esperienza sicuramente molto ricca, soprattutto dal punto di vista umano, avendo avuto la possibilità di conoscere delle bellissime persone (non tutte!).

 

Tuttavia, non posso fare a meno di rilevare l’estremo immobilismo che muove la logica dei circoli. Come è stato fatto notare da più voci, troppo spesso i dibattiti interni ai circoli, a volte anche laceranti, nella concretezza non portano davvero a nulla. Probabilmente, l’unica reale azione lasciata nelle mani degli iscritti è l’elezione del portavoce (segretario). In fondo si tratta, però, di un gesto formale(è stato definito liturgico): spesso l’immobilismo e l’inutilità di cui sopra sono causa di una totale assenza di candidature. Non è infrequente ritrovarsi a votare l’unico nome disponibile!

E l’inutilità, si badi bene, non è colpa degli iscritti. Al contrario, è insito nei meccanismi burocratizzati del partito, figli di quel centralismo democratico che caratterizzava l’organizzazione politica del PCI. La sclerotizzazione dei ruoli evidenzia una sensibile mancanza di democrazia e fattualità.

Spostandosi ai piani più alti, tutto questo si traduce nella dittatura delle correnti, che bloccano qualsiasi iniziativa, costringendo i vertici a camminare sulle uova.

E’ evidente che le divisioni correntizie e le lotte di potererestituiscano al partito uno stallo permanente. Soprattutto, tutto ciò impedisce l’elaborazione di un pensiero portante e la definizione di una coerente visione del futuro.

Per un attimo, dunque, vorrei spostare l’attenzione dal dibattito sull’ego di Renzi, che tanto infiamma l’opinione pubblica, per rimarcare la necessità di un pensiero moderno, coerente, che si proietti verso il futuro. E’ probabilmente questo il senso di una nuova formazione politica, in un’Italia da sempre così complicata, ma terribilmente unica, per essere un laboratorio di idee ed una palestra di pensiero all’avanguardia nel mondo intero.

 

di Giordano Di Fiore