Intervista a Matteo Renzi per «La Stampa» del 10-01-2025
di Alessandro De Angelis
"Beh, non mi lamento. Sono stato il premier più giovane della storia italiana. Ma la classifica è inquietante: il secondo è stato Benito Mussolini, che è durato di più però è finito peggio".
Domani Matteo Renzi compie 50 anni e, in questa intervista, fa un po' un bilancio: «Sì, mi fa effetto. Anche perché i 40 non li festeggiai. C'era stata la strage di Charlie Hebdo. L'11 gennaio 2015 l'ho passato a Parigi a cantare la marsigliese, con Hollande e i leader di tutto il mondo».
Ma è vero che al liceo già litigava coi comunisti?
«E coi fascisti. Avevamo organizzato la terza via già allora: una lista cattolica tra la sinistra di Tomaso Montanari e la destra. La vera scuola politica per me sono state le litigate col professor Cancemi, consigliere comunale Msi, uno di destra vera. Considerava Fini un traditore. Abbiamo litigato su tutto. Ma alla fine da membro interno ha lottato per farmi avere 60/60».
Chi è il suo vero maestro? Non dica La Pira.
«Allora Mino Martinazzoli. Mai incontrato, ma l'ho citato spesso: "La politica è altrove, vi aspettiamo là". Frase bellissima. La dissi ai grillini in Aula, nel 2014, fiato sprecato».
Insomma, l'appassionava la sinistra dc.
«Certo! In quinta ginnasio discussi con la prof di religione perché cinque ministri dc, tra cui Sergio Mattarella, si erano dimessi sulla Mammì. Io apprezzavo, lei no. Avevo 15 anni. Venticinque anni dopo raccontavo questo episodio buffo a cena al Quirinale al neo eletto Presidente».
Poi però ha avuto una fascinazione per il mondo berlusconiano.
«No. Ma sono andato da Mike Bongiorno. Ero in Croazia con gli scout e mi ritrovai dalle macerie della guerra a uno studio Mediaset. Vinsi quattro puntate e due cucine Whirpool. Altri tempi».
Ha l'immaginario degli anni 80: torna a casa in tutta fretta c'è il Biscione che ti aspetta.
«Berlusconi ha cambiato l'Italia col Milan e con Beautiful più che con le leggi. La mia è la generazione della tv, non del telefonino e di internet, "I ragazzi della Terza C" e i poster in camera dei cantanti. Non avevamo Google o Instagram. In questo senso sì, il berlusconismo ha segnato tutti noi».
Da sindaco andò anche ad Arcore. Lo rifarebbe?
«Anche a piedi. Un sindaco va a incontrare il premier, sempre. Specie se questo incontro garantisce 20 milioni di euro al bilancio del Comune grazie alla tassa di scopo».
Dica la verità: fu amore a prima vista.
«No, nacque soprattutto un rapporto umano che è rimasto. E anche quando ha rotto il Patto del Nazareno facendomi perdere il referendum. Il vero lusso in politica sono i rapporti umani. Berlusconi era circondato da tanti approfittatori, io gli ho sempre detto ciò che pensavo senza chiedere nulla».
Avrebbe dovuto lasciare la politica dopo il referendum?
«Sì. Avrei dovuto andare dieci anni in America. Ma restando in politica ho bloccato Salvini al Papeete e ho portato Draghi al posto di Conte. Dunque non ho rimpianti. Il fatto che Giorgia Meloni abbia cercato di farmi fuori per legge mi esalta: ho finito la fase zen, mi è tornata la voglia di fare politica».
Della Dc però non ha mai coltivato l'arte della prudenza. Autocritiche?
«Dicono che se fossi stato prudente sarei ancora a Chigi. Io dico che se fossi stato prudente non ci sarei mai arrivato».
Diventare numeri 1 si può, per rimanerci serve allenarsi. Come spiega il ciclo breve?
«Segno dei tempi. Salvini, Di Maio, Conte: tutti dovevano durare vent'anni e invece hanno perso terreno quasi subito. La politica di oggi è come la musica leggera: si balla per poche stagioni».
Da Rignano alla Casa bianca, cosa pensò in quel momento?
«Il fatto che Obama ci abbia dedicato l'ultimo State dinner era segno di un rapporto molto forte. C'era davvero un feeling eccezionale. Ma tra Brexit, Trump e referendum costituzionale sono arrivati presto i dolori».
Il suo rapporto col denaro?
«Non mi è mai mancato nulla grazie ai miei ma ho sempre lavorato. A 16 anni d'estate consegnavo volantini e distributivo elenchi del telefono. Da universitario per cinque anni ho consegnato i giornali alle cinque del mattino, tutti i giorni. Oggi fatturo in modo trasparente. Uso il denaro senza farmi usare dal denaro. La verità è che sul tema soldi si misura un certo grado di invidia sociale che c'è nel Paese».
Su Bin Salman è invidia sociale o inopportunità politica?
«Peggio: è ipocrisia. Quello che ho detto io cinque anni fa sull'Arabia ora si sta avverando. Chi anni fa mi accusava di essere prezzolato oggi mi chiede contatti per Ryad, Gedda, Alula. E chi ha criticato Bin Salman ci firma accordi miliardari. Nessuno ha il coraggio di dire che avevo visto giusto».
È stato tra gli ospiti alle nozze miliardarie di Anant Ambani. Queste cose la gratificano o le fa per dovere?
«Mi gratifica fare la maratona di Milano in meno di quattro ore o fare doppietta al calcetto con gli amici. Gli incontri di alta società si fanno per le relazioni. Ma resto sempre un ragazzo di Rignano».
Che voleva la casa più grande. Si fece prestare i soldi da un amico, finanziatore della Leopolda.
«Sì. E glieli ho restituiti con bonifico in 5 mesi, dopo aver siglato un contratto dal notaio. Ho tutte le fatture regolari della mia casa. Alcuni colleghi e soprattutto alcune colleghe non possono dire lo stesso».
A chi si riferisce?
«Il tempo è galantuomo, la verità verrà fuori. Intanto io sono stato prosciolto da sei anni di fango: tre anni di Chigi, sei anni di indagini farlocche e incostituzionali. Anche per questo è tempo di brindare».
Consiglierebbe o sconsiglierebbe ai suoi figli di fare politica?
«Hanno subito quintali di fango, hanno visto arrestare ingiustamente i nonni, hanno visto soffrire i genitori. Sanno che la politica è anche sofferenza. Decideranno loro. Io sono orgoglioso della loro intelligenza».
Sua moglie Agnese ha il potere di darle consigli?
«In molti casi ha scelto più che consigliato. E scelto bene. Quando diventai premier, le proposi di vivere a Roma a Chigi. Lei fu ferrea: io ci sarò nelle visite ufficiali e quando serve ma resto con i ragazzi a Pontassieve. Litigammo. Aveva ragione lei. Li ha tenuti a riparo dal tragico frullatore di Roma».
Dopo gli scout, quale è stato il suo rapporto con la fede?
«Non solo gli scout. Gioventù studentesca ai tempi del Liceo con don Paolo Bargigia che è stato sconfitto dalla Sla ma che è stato per molti di noi una roccia. E poi i gesuiti con l'esperienza degli esercizi spirituali, guidati da padre Enrico».
E quando ha incontrato il Papa?
«La prima volta che incontrammo papa Francesco in forma non ufficiale a Santa Marta, il Papa fece alla fine una preghiera con la famiglia. I miei figli uscendo dal Vaticano dissero: babbo, hai visto? Prega come padre Enrico. I bambini avevano riconosciuto il marchio di fabbrica dei gesuiti».
Per i prossimi cinquant'anni si è messo l'anima in pace.
«Tutt'altro. Sono felice e vivo i momenti più belli della mia vita. Ma sulla politica sono ripartito all'arrembaggio. Giorgia Meloni mi attacca perché sa che se riusciamo a fare "un centro che guarda a sinistra" lei perde le elezioni».
Si può conciliare l'amicizia e la politica o gli amici veri sono fuori?
«Ho tanti amici veri in politica. Ma ho capito come riconoscere i falsi. Quelli che ti adulano quando sei importante e ti ignorano il giorno dopo».
Con chi festeggerà?
«Domani a pranzo con mille amici di Italia viva. Per dare uno scossone a questa opposizione addormentata. Ma soprattutto brindando alla vita: sono un uomo fortunato, lo confesso».