Intervento a firma di Matteo Renzi, pubblicato da "QN", 6 settembre 2022.
Nelle ultime ore il Pd ha deciso di attaccare il Jobs Act per difendere il reddito di cittadinanza, di attaccare una misura che ha creato posti di lavoro per difenderne una che ha prodotto assistenzialismo, di schierarsi contro la cultura del lavoro in favore di quella del sussidio.
L'aspetto incredibile di tutto questo è che chi aveva fatto il Jobs Act era stato il Pd stesso. Dall'altro lato, all'epoca del governo gialloverde, quando fu portato in Aula il reddito di cittadinanza, il Pd fece ostruzionismo. E badate bene: allora il segretario non era più Matteo Renzi, ma Maurizio Martina.
In buona sostanza, il Pd sta smentendo se stesso, in un rovesciamento delle parti surreale. Andando a guardare i numeri, non si comprende il motivo di questa presa di posizione.
Il Jobs Act ha creato oltre un milione di posti di lavoro, di cui 700.000 a tempo indeterminato. Rinnegarlo significa rinnegare la cultura del lavoro che ha da sempre caratterizzato l'identità riformista del partito democratico. Disconoscere il Jobs Act non significa insomma sconfessare Tony Blair o Matteo Renzi, ma il Pd stesso, la sua identità, la sua storia, la sua cultura e quella della sua comunità.
Il Jobs Act è stato l'ultima grande misura fatta in Italia in favore del lavoro: un partito riformista dovrebbe non solo difenderla ma anche rivendicarla. Se cancellano con un colpo di spugna il riformismo che investe sul lavoro, abbracciando la cultura del reddito di cittadinanza, diventano semplicemente una copia del M5S. Un passo verso la metamorfosi lo hanno già fatto, candidando Luigi Di Maio. Se però questa è la strada intrapresa da Enrico Letta, a questo punto possono anche decidere di cambiare nome e passare da democratici a grillini.