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Referendum, D'Alessandro: "Pronto a votare no, i tagli sono inutili"

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L'intervista pubblicata da "Il Messaggero", 1 settembre 2020. 

Il taglio dei parlamentari? «Inutile sul piano del risparmio, drammatico per gli effetti che avrebbe sulla rappresentanza dei territori». Camillo D'Alessandro, deputato di Italia Viva, non dimentica che il suo partito è stato fondato da un certo Matteo Renzi, che con la riforma costituzionale del 2016 aveva addirittura proposto la cancellazione del Senato. Ma a tre settimane dal voto delle amministrative (che in Abruzzo interesserà 61 Comuni) e dal referendum nazionale sul taglio dei parlamentari, invita a distinguere le due stagioni politiche.

Onorevole, perché oggi lei si schiera sul fronte del no?
«Perché quella che ci apprestiamo a votare non è una riforma, ma un taglio che produce il risparmio di un caffè per ogni italiano ma con conseguenze drammatiche per la rappresentanza. Soprattutto in regioni medio piccole come la nostra».

Quali sarebbero i rischi per l'Abruzzo?
«Al Senato sarebbe la regione più penalizzata dopo la Sardegna, con un taglio del 42,9% della rappresentanza. Numeri alla mano, passeremmo da un senatore eletto ogni 186mila abitanti, a un senatore ogni 326mila abitanti. Il Trentino, con 300mila abitanti in meno dell'Abruzzo, avrebbe invece un senatore ogni 171mila abitanti. Ma è solo una delle tante contraddizioni di questo referendum».

Cosa cambia rispetto alla riforma del 2016?
«Il punto è proprio questo: il referendum del 20 e 21 settembre non cambia nulla rispetto all'attuale assetto del Parlamento. Rimarranno due Camere e il rimpallo tanto contestato del bicameralismo. Non si mette mano agli equilibri di potere tra Stato e Regioni, il cui conflitto è apparso evidente nella situazione di caos generata dalla pandemia. Con la drammatica conseguenza di vedere ridotto il Parlamento a una oligarchia. Tutto questo mi sembra il contrario di una riforma, qualcosa che porta piuttosto all'antico disegno di Casaleggio e del Movimento 5 stelle: la distruzione della rappresentanza».

Il Pd, da cui le proviene, si è diviso tra il sì e il no.
«Non entro nel merito del loro dibattito. Tuttavia trovo alquanto singolari alcune argomentazioni: mi sembrano i teorici della strategia del burrone».

Cosa intende?
«La loro tesi è un po' questa: intanto ci gettiamo nel burrone, poi si vedrà. Si punta alle eventuali riforme necessarie a correggere gli eventuali errori. Ma soltanto dopo. Capite bene che questo è l'opposto contrario della vocazione riformista. Fortunatamente diverse personalità, come Prodi e Castagnetti, si sono espresse per il no».

Quella del taglio dei parlamentari è da sempre la grande battaglia dei 5 stelle. Non crede che dietro il referendum si nasconda in realtà la tenuta del governo?
«Appunto: che c'entra la cultura del riformismo con il non partito, con chi ha votato una riforma contro la Costituzione e per realizzare una non democrazia? Poi, un conto è il patto di governo per evitare i pieni poteri a Salvini e ai vari Bolsonaro italiani. Altra cosa è l'adesione alla follia. Voglio anche ricordare che dalla nascita di questo governo è cambiato tutto: l'emergenza sanitaria ha reso evidente che nelle crisi le istituzioni servono. E invece che si fa: si rende evanescente la rappresentanza?».

C'è sempre la scappatoia della modifica delle legge elettorale?
«Non servirebbe a nulla. Mettere sullo stesso piano la formula elettorale - che in Italia cambia puntualmente assieme alle nuove maggioranze - con una modifica della Costituzione, significa essere disperati di argomenti e di cultura istituzionale».