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Pil, quando l'Italia fa meglio della Germania: Marco Fortis su Il Sole 24 Ore

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Dal 2015 al 2017 la manifattura ha creato più valore aggiunto di tedeschi e francesi, sostenendo gli investimenti, spiega Fortis su "il Sole 24 Ore"

Nelle ultime settimane, economisti e commentatori hanno tracciato un bilancio sommario del decennio 2010-19 dell'economia italiana, parlandone come di "un decennio orribile". Ma, come spiega oggi Marco Fortis su "il Sole 24 Ore", è bene fare dei distinguo.

Inoltre, spiega il professore, sono stati pochi "gli interventi analiticamente più solidi e più centrati sulle politiche necessarie per aumentare il tasso di crescita a mediolungo termine dell'Italia, senza gettare comodamente come sempre la croce addosso su chi ha governato nel passato". Tra questi, Fortis cita l'intervento "di Romano Prodi sul Messaggero del 29 dicembre dal titolo «I sei ostacoli alla crescita e la risposta per ripartire», con proposte di politiche articolate perla famiglia, l'istruzione, una maggiore stabilità politica, la burocrazia, la giustizia, l'evasione fiscale".

Come dicevamo, secondo Fortis "il bilancio complessivo del decennio 2010-19 dell'Italia va necessariamente scomposto". Difatti, prosegue il professore, "occorre evitare conclusioni approssimative su dieci lunghi anni che non sono stati affatto omogenei tra loro bensì nettamente divisi in due tronconi: un primo periodo di forte crisi (2010-14) e un secondo di significativa crescita (2015-18), addirittura la più forte crescita che l'Italia abbia mai sperimentato da quando è cominciata la circolazione monetaria dell'euro".

Inoltre, prosegue il professore, "sbagliato è guardare al decennio 2000-19 come a un'unica sequenza di presunti errori e tranciare giudizi fallimentari sulle politiche economiche che l'Italia ha cercato di adottare per gestire l'uscita dalla doppia recessione". Se il primo periodo indicato da Fortis è stato caratterizzato da "un eccesso di politiche di austerità che, pur parzialmente necessarie per arginare la crisi del debito del 2011, hanno fortemente penalizzato l'Italia", nel secondo possiamo trovare "politiche più equilibrate di rigore e crescita che, al netto del contributo del settore pubblico, hanno visto l'Italia progredire per un intero triennio addirittura di più di Germania e Francia".

Sicché, mentre è possibile definire "orribile" la prima parte del decennio, "è stato ottimo il quadriennio 2015-18, periodo in cui l'economia italiana ha dato prova di ragguardevoli capacità di reazione nel momento in cui è stata opportunamente stimolata da politiche mirate a rilanciare il potere d'acquisto e i consumi delle famiglie, l'occupazione e gli investimenti delle imprese: politiche della cui efficacia non sembra però esservi assolutamente consapevolezza nella letteratura giornalistica e tra i commentatori ritenuti più autorevoli".

Per suffragare queste affermazioni, il professore prosegue il suo intervento mostrando dei dati a supporto. "Se guardiamo - spiega Fortis - agli interi nove anni 2010-18, i numeri condannano effettivamente l'Italia, il cui valore aggiunto è aumentato complessivamente soltanto del 3,4% contro i1 +12% della Francia e i1+19,2%della Germania. Ma se scomponiamo i nove anni in due periodi distinti le cose cambiano radicalmente. Infatti, nel quinquennio 2000-14 il valore aggiunto italiano arretra dell'1,6% mentre Germania e Francia, che non hanno praticato alcuna austerità, crescono rispettivamente dell'11,5% e del 6,3%. Nel quadriennio 2015-18 il quadro muta assai. Infatti, il valore aggiunto della Germania aumenta del 7,8%, quello della Francia del 5,8% e quello dell'Italia del 5%. Il distacco tra noi e gli altri dunque si riduce".

Ma non solo: Fortis prosegue spiegando che, nello stesso periodo, "diversamente da ciò che pensano molti ideologhi della spending review, l'Italia non ha fatto per nulla leva sul proprio settore pubblico per crescere, stante il contenimento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici e della spesa corrente prima degli interessi. Anzi, pubbliche amministrazioni, difesa, sanità ed educazione nel 2015-18 hanno dato un contributo negativo dello 0,4% alla crescita cumulata del valore aggiunto totale italiano, mentre il settore pubblico ha contribuito "keynesianamente" addirittura per il 2,2% alla crescita tedesca e per lo 0,5% alla crescita francese".

Pertanto, è possibile affermare che "depurato del contributo del settore pubblico, l'aumento del valore aggiunto italiano è stato nel 2015-18 del +5,4%, contro il +5,6% della Germania e il +5% della Francia: dunque valori in linea a quelli dei nostri partners. Alla crescita italiana di questo quadriennio hanno contribuito in modo determinante l'industria in senso stretto con un +2% cumulato e il settore commercio, trasporti e turismo con un +2,1%".

Una crescita che, sempre nel triennio 2015-17, può essere considerata come "la parte migliore della nostra seconda metà di decennio. Infatti, in tutti i tre anni del triennio 2015-17 il valore aggiunto italiano complessivo, al netto del contributo del settore pubblico, è aumentato addirittura di più di quelli di Germania e Francia".

Insomma, spiega Fortis, non vi è stato nessun clamoroso errore di gestione della crisi finanziaria di inizio decennio, anzi: "misure come gli 80 euro, il Jobs Act, le decontribuzioni e il Piano Industria 4.0 ci hanno permesso di performare a lungo nella seconda metà del decennio scorso meglio dei tedeschi e dei francesi nel settore privato".

Fortis conclude il suo intervento sottolineando che "finché molti commentatori continueranno a non conoscere questa semplice evidenza statistica, essi persisteranno nel volerci insegnare come secondo loro l'Italia può crescere di più non sapendo che in realtà la nostra economia aveva già cominciato a farlo e ignorandone il perché".

C'è bisogno, insomma, come suggerisce il professore, di "analisi meno superficiali e preconcette sulla crescita italiana e sulle sue determinanti reali. Le politiche che hanno dimostrato di funzionare nel recente passato, ma che non sono state premiate né elettoralmente né nei giudizi dei cosiddetti esperti, andrebbero proseguite, così come servirebbe concentrarsi di più sulle numerose riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno e su cui si è soffermato Prodi nell'articolo sopra citato".