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Paita: «Serviva più coraggio da parte dei riformisti Pd nel difendere il Jobs Act Centro? Dialogo sui temi»

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Intervista a Raffaella Paita per «Il Tempo» del 12-06-2025

di Edoardo Sirignano

«Gli elettori ci hanno detto che i quesiti sul lavoro erano ideologici, con la testa rivolta al passato, non in sintonia con le reali esigenze del Paese. Il Jobs Act, che noi rivendichiamo, è una riforma che ha fatto bene, ha creato posti di lavoro e aumentato i diritti. Tasse, inflazione, bollette, crisi del ceto medio: questi sono i punti che interessano gli italiani, quelli su cui il centrosinistra può mettere in difficoltà il governo Meloni, che non sta facendo nulla. Quanto alla cittadinanza, è evidente che il popolo progressista ha dato un segnale, ma noi rivendichiamo la nostra battaglia. La sicurezza non c'entra nulla con la cittadinanza data a persone regolari, che studiano e lavorano qui». A dirlo Raffaella Paita, capogruppo di Italia Viva al Senato.

Possiamo parlare di flop per il campo largo e in modo particolare per una linea troppo di sinistra?

«Diciamo che è ora di parlare di futuro più che di passato. Il centrosinistra, per potersi presentare come alternativa al governo Meloni, accanto alle posizioni di una sinistra che non sono le nostre, ma che evidentemente ha forza ed esiste nel Paese, deve avere una visibile impronta riformista. Lo abbiamo visto nelle amministrative nella mia Liguria. Quando hanno prevalso i veti, come alle regionali, si è perso. Quando, invece, il centrosinistra è andato unito, ha vinto, come è accaduto a Genova. E oggi abbiamo una giunta guidata da una sindaca capace e preparata come Silvia Salis, nella quale c'è una componente riformista che ha un ruolo importante. Questo è il modello da seguire, che poi è lo schema Schlein: no ai veti».

Una cosa è certa, un'opposizione troppo progressista non piace, vedi certi posizionamenti sulla cittadinanza. Sarebbe opportuno rivedere determinate posizioni, a partire da quelle sui migranti?

«A livello personale ho votato "sì" perché l'ho ritenuta una battaglia di civiltà. Dopodiché, mi rendo conto che una materia così complessa richiede un approccio diverso dal referendum: serve una riforma organica da fare in Parlamento. Siamo ancora in attesa che Forza Italia passi dalle parole ai fatti, ma temo che lo ius scholae di Tajani non vedrà mai la luce perché il ministro degli esteri è succube della destra che sulla cittadinanza non vuole dare risposte».

Che ne pensa di come hanno gestito i riformisti Pd il referendum sul Jobs Act?

«Sinceramente ci saremmo aspettati di più. Più coraggio nel difendere una riforma, quella del Jobs Act, che in tanti hanno votato convintamente, anche se oggi sembrano esserselo dimenticato».

Qualcuno forse inizia a sentire la nostalgia del renzismo, di un passato non troppo lontano?

«Matteo Renzi è stato protagonista di una stagione riformatrice che ha cambiato in meglio questo paese. Rivendicare quella stagione positiva serve a mettere in evidenza il protagonismo delle idee e la sua importanza per il futuro. Lo è tanto più in questi giorni in cui la premier Meloni, dopo quasi tre anni di governo, ci viene a dire che ridurrà le tasse al ceto medio. Questa è la differenza tra Renzi e Meloni: noi le tasse le abbiamo abbassate davvero, la premier, dopo averle alzate, è ancora ferma alle promesse».

Non è che certi appelli dal palco dell'evento romano pro Gaza hanno inciso sull'esito finale della consultazione?

«Non c'è nessun collegamento con il referendum. La piazza romana era per Gaza».

Sul Medio Oriente, vi siete ritrovati con Calenda e i riformisti dem. È stato un successo. Possibile lavorare ancora in questa direzione?

«Quella è stata una manifestazione straordinaria, commoventi le testimonianze di Aviva Siegel, ex ostaggio e Hamaa Howadi, dissidente anti Hamas. Quanto alla seconda domanda, non ci sottrarremo se ci sarà la possibilità in futuro di collaborare su temi concreti».