Il rapporto debito/pil resta un dogma assoluto. Tuttavia, ci sono ragioni per ridisegnare le regole europee, spiega Fortis su "il Foglio"
All'interno del surreale dibattito italiano sul Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), trova spunto la riflessione odierna del professor Marco Fortis su "il Foglio". Fortis fa notare come l'Italia non riesca a rappresentare all'Europa e ai mercati i suoi punti di forza, ad esempio la solidità, da circa tre decenni, del bilancio primario. Un indicatore economico, secondo Fortis, da tenere ben a mente.
Per quanto, infatti, l'Italia - come spiega Fortis - debba impegnarsi a ridurre il suo rapporto debito/pil troppo alto, non è certo nelle condizioni di un paese sudamericano o della Grecia nel 2010.
Fortis passa, quindi, a spiegare cosa è il bilancio primario di un paese: la differenza fra entrate e uscite annue prima del pagamento degli interessi sul debito pubblico, un indicatore importante della virtuosità di un paese nella capacità di gestione dei conti pubblici. L'Italia può vantare, fin dal 1992, con la sola eccezione del 2009, un bilancio primario in surplus. Inoltre, dal 1992 ad oggi, l'Italia ha accumulato il più grande surplus economico fra tutti i paesi del mondo, come dimostrano i dati condivisi da Fortis. Fra i paesi in surplus primario, spiega Fortis, troviamo l'Italia, la Germania, il Canada, Belgio, Danimarca e Svizzera.
Se l'Italia non è mai andata in default, spiega Fortis, è proprio perché ha goduto di un avanzo statale considerevole, nonostante l'alto debito pubblico, ereditato dalla Prima Repubblica. Dagli anni '90 in poi, spiega Fortis, paghiamo in parte gli interessi sul debito pubblico grazie alle somme ingenti di surplus primario. Tuttavia, dal 1992, il debito italiano è cresciuto a causa degli interessi non sufficientemente coperti dall'avanzo primario.
Perché, dunque, se l'Italia, nel 2018, ha presentato un debito pubblico pari a quello della Francia, si ritrova a dover pagare 24 miliardi e mezzo in più di interessi, rispetto alla Francia? La risposta, spiega Fortis, starebbe proprio nel rapporto debito/pil, che, nel caso italiano, è assai più alto di quello francese.
Tuttavia, Fortis crede che questa visione - o dogma assoluto - debba essere scardinata: la crescita del debito va frenata e il rapporto debito/pil va ridotto, ma non con i tempi vessatori di Fiscal Compact, e il livello di interessi che il nostro paese deve pagare non va parametrato solo rispetto al rapporto debito/pil.
Si torna dunque, all'importanza del parametro del bilancio primario: un avanzo primario costante e ragionevole, spiega Fortis, non "monstre", riuscirebbe ad abbattere il debito, senza uccidere la crescita, cosa che farebbe in ogni caso aumentare il rapporto debito/pil, che va - invece - ridotto.
Mantenendo il paragone con la Francia, Fortis spiega, mostrando dei dati, che effettivamente l'avanzo primario italiano è ragionevole. Sicché si torna al punto di domanda: come ridurre il rapporto debito/pil? Non soltanto con politiche di rigore, spiega Fortis, come dimostrato dall'inefficacia dei provvedimenti del periodo 2012-2014, gli anni dell'austerità, dopo gli anni del Governo Berlusconi, in cui il debito era aumentato, anni in cui lo spread andò alle stelle. Come tutti possiamo ricordare, fu compito di Mario Monti evitare il tracollo. Tracollo che venne evitato, anche se l'economia ne soffrì: l'Italia entrò in una dura recessione, il rapporto debito/pil, invece di ridursi, aumentò.
La dimostrazione che il rigore da solo non basta a ridurre il debito/pil - spiega Fortis - viene da ciò che è poi accaduto nel triennio 2015-17. In questo triennio, infatti, il debito/pil è diminuito di 1,3 punti percentuali, dal 135,4 per cento del 2014 al 134,1 per cento del 2017. Ciò è potuto avvenire perché Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan hanno abilmente negoziato con Bruxelles delle deroghe all'assurdo ritmo di riduzione forzata del debito/pil stabilito dal Fiscal compact: Renzi e Padoan hanno cioè ottenuto la cosiddetta "flessibilità". Dietro questa parola - prosegue Fortis - sta un saggio mix tra rigore (la spesa pubblica corrente al netto degli interessi in percentuale del pil nel 2015-17 è diminuita) e espansione del pil reale (nel triennio 2015-17 l`aumento medio annuo è stato dell`1,3 per cento, come non si vedeva da anni).
Insomma, spiega Fortis, "il debito/pil di un paese con alti interessi sul debito pregresso come l'Italia non può calare se non vi è anche una crescita economica adeguata, che l`adempimento pedissequo delle regole del Fiscal compact invece ucciderebbe sul nascere. Servono altri parametri per misurare la sostenibilità dei debiti sovrani".
Fortis cita tre di questi parametri:
1) la percentuale di debito pubblico finanziata da stranieri;
2) la ricchezza finanziaria netta delle famiglie;
3) la posizione finanziaria complessiva sull`estero.
Purtroppo, però - spiega il professore - questi tre indicatori per l'Italia molto positivi vengono ampiamente trascurati dagli investitori, dalle agenzie di rating e dalla stessa Ue, che fondamentalmente non li conoscono. Né il nostro governo ha mai saputo promuoverli adeguatamente. Con il paradosso, prosegue Fortis, che facciamo spesso la voce grossa sulle regole europee senza però saper presentare argomenti convincenti come quelli sopracitati almeno per chiedere che la sostenibilità del nostro debito pubblico e le condizioni finanziarie complessive del nostro paese vengano giudicate in una prospettiva più corretta e completa. Non solo da parte della Commissione europea ma anche da parte delle agenzie di rating e dei mercati.
Tuttavia, è soprattutto il bilancio pubblico primario che, oltre ai tre indicatori citati, dovrebbe fare testo, soprattutto se, come spiega Fortis, un paese si dimostra di essere in grado, come ha fatto l'Italia per oltre 5 lustri, di saperlo mantenere costantemente positivo.
L'Italia, spiega Fortis, deve pretendere una revisione profonda dei parametri sui quali viene misurata la sostenibilità dei debiti, per uscire dal loop infinito: "interessi-debito pubblico-rapporto debito/pil-peggioramento del rating sovrano".
Di certo, vanno anche sottolineati due elementi a nostro sfavore: instabilità politica e scarsa credibilità, elementi che si ritrovano in tutti i periodi di crisi economica recenti, compreso il biennio 2018-2019.
Ma, nonostante questi elementi, spiega Fortis, non è più tollerabile che il livello di interessi che l'Italia deve pagare e il suo rating sovrano dipendano solo dal rapporto debito/pil, senza considerare i parametri esposti.
Dopo aver esaminato alcuni casi europei, dal punto di vista del bilancio primario, per meglio spiegarne il funzionamento, Fortis conclude il suo intervento, avanzando una proposta: "ridisegnare le nuove regole europee sui conti pubblici anche sulla capacità dei paesi più indebitati di generare avanzi primari costanti e significativi" e " individuare proprio nella capacità di produrre un avanzo pubblico primario minimo costante da parte dei vari paesi il meccanismo premiale chiave per lo scorporo degli investimenti in infrastrutture e ricerca dal calcolo del deficit".
Sarebbe, conclude Fortis, "una soluzione equa per quelle economie che, pur essendo oggi virtuose in termini di surplus primario, hanno ereditato dal passato un elevato debito/pil e alti interessi che sottraggono risorse per gli investimenti. Economie che necessitano perciò in modo assolutamente vitale di una crescita del pil in quanto il rapporto debito/pil non può calare solo con il rigore: anzi, con il solo rigore tale rapporto rischia di aumentare, come dimostra l'esperienza italiana del 2012-14. Serve invece un equilibrato mix di rigore e sviluppo: ed in tal caso il calo del debito/pil è possibile, come dimostra l'esperienza italiana del 2015-17".